Non è normale parlare di mostri

Ci sono sempre delle notizie che ci colpiscono più di altre. Ci prendono lì, alla bocca dello stomaco, si insinuano nei nostri pensieri e non riusciamo più a smettere di pensarci. 

A me è successo con la storia – brutta, bruttissima – dello stupro a San Firmino, questo luglio. Perchè già uno stupro di per sè è un atto disgustoso, vile, meschino, malato ed esecrabile. Ma quello che in questa storia mi ha fatto venire la pella d’oca e un senso profondo di malessere, è tutto quello che ha fatto da contorno a questo episodio di violenza.

Il video condiviso, la chat di gruppo in cui questa feccia – perchè non sarebbe giusto chiamarli nè uomini nè bestie – raccontava l’impresa come se fosse una bravata qualsiasi, la totale assenza di un minimo di rimorso.

A questa ragazza hanno tolto tutto. Non solo fisicamente. Le hanno annientato anche l’anima. Perchè non si sono limitati a violare un corpo – il SUO CORPO – ma si sono permessi di violare anche qualcosa di ancora più profondo, di più intimo. Le hanno rubato anche un pezzo di se stessa.

Sono mesi che seguo questa storia. Ho letto gli articoli sull’arresto, sulle indagini– se fate una ricerca sulle maggiori testate di informazione troverete tutto quanto, compreso la foto della feccia riunita– e ora sul processo.

Sapete cos’altro mi disgusta? La totale mancanza di decenza nel tenere la bocca chiusa. Perché no, non solo hanno vomitato rabbia e violenza su una ragazza innocente. No, si permettono anche di vomitare parole inutili, vuote, stupide, per provare a dare un perchè al loro gesto. Si sentono vittime di questo sistema. Loro le vittime, capite?

“Non sono un mostro”. È con queste parole che uno del gruppo ha provato a difendersi. No, non lo sei. Sei peggio, molto peggio. Perchè davanti ai mostri– e quando penso ai mostri penso ai draghi cattivi, penso ai lupi con due teste– sappiamo che c’è la possibilità che ci facciano del male e siamo quindi pronte a difenderci. Mentre voi vi siete mascherati da agnelli indifesi, trasformandovi poi in lupi, senza lasciare nessuno scampo alla vostra vittima, senza darle la possibilità di difendersi.

Davanti ad un gruppo di ragazzi no, non ci dovremmo mai sentire attaccate. Nessuna di noi. O così dovrebbe essere in un mondo giusto.

Proprio su questo ho letto un articolo molto bello, scritto da Yolanda Dominguez. Per chi volesse dare un’occhiata, ecco il link (l’articolo è in spagnolo – mi sono presa la briga di tradurlo anche in italiano, perchè penso che valga la pena condividerlo): http://www.huffingtonpost.es/yolanda-dominguez/no-soy-un-violador-soy-un_b_13231048.html 

Traduzione:

(Articolo di Yolanda Dominguez)

“Questa è la storia di un bambino normale, nato in una famiglia normale in un quartiere normale.

Un giorno il padre di quel bambino lo ha chiamato campione, perchè a scuola si era trovato molte findanzatine. Nello stesso anno i Re Magi gli hanno portato un fucile mitragliatore e una spada laser con cui ha imparato a sparare e tagliare teste come gli eroi dei film. Aveva un allenatore che gli ha detto che non doveva mai piangere e che doveva comportarsi come un vero uomo. Sul suo zaino c’era stampata la foto di Superman mentre sul suo astuccio quella di Spiderman. Ricorda che mentre guardava la TV c’erano sempre delle ragazze in mutandine che promuovevano delle cose.

Anni dopo, al liceo, un amico gli ha inviato un video di una ragazza spogliandosi. Sapeva chi era perché l’aveva vista durante la ricreazione, ma non disse niente a nessuno. I venerdì si ritrovavano a

fare “botellones” e facevano a gara per vedere chi riusciava a bere più alcol. Nello stesso terreno abbandonato c’era un cartellone con una donna in lingerie accanto alla frase “Io sono disponibile”. I film proiettati durante l’estate raccontavano di poliziotti corrotti che insultano le ragazze e 300 uomini buoni che hanno ucciso 300 altri uomini cattivi perché non avevano lo stesso pensiero. Nello stesso anno ha imparato cosa significasse “scopare” con una ragazza e che gli amici ti davano le pacche sulle spalle se “ti facevi” molte ragazze. Per la prima volta ha cercato dei porno su internet e ha scoperto che maltrattare le donne era associato al piacere. Nel suo primo rapporto sessuale ha tirato i capelli alla propria ragazza, crede che gli è piaciuto.

Qualche tempo dopo, quel ragazzino diventa membro di un forum online dove i famosi sono marchiati con la parola “melafo” (espressione denigrante – sta a significare all’incirca “me la faccio”). Non giocava più a calcio, ma acquistava sempre il quotidiano sportivo dove apparivano un sacco di uomini forti che vincevano molti premi e una sola donna, alla fine, nuda. Nelle riviste si focalizzava sulle immagini delle modelle con le gambe divaricate e dall’aspetto da tossiche. Un giorno, abituato a vedere tante scene di donne così umiliate, ha cercato su Internet video di sesso ancora più volenti. Non capiva perché quando cercava di fare il missionario con la sua ragazza non gli si alzava.

All’età di 30 anni, mentre leggeva le notizie sul giornale, dava anche un’occhiata agli annunci di prostituzione: “Donne disponibli 24 ore su 24”, “Scopiamo al primo appuntamento”, “Le migliori puttane”. Si ricorda di aver visto che in alcune discoteche offrono pompini gratis a cambio di un drink. Apre un gruppo Whatsapp con gli amici per scambiare foto e fare progetti. Parlano di armi, droga, furti e stupri. Niente di insolito, cose normali. A volte facevano gite di gruppo e si caricavano in macchina qualche ragazza, la drogavano e la obbligavano a fargli un pompino. Se si fosse rifiutata la picchiavano e l’abbandonavano per strada.

Un’estate, l’uomo è andato a una festa e “si è fatto” una ragazza in un portone. I suoi amici anche “se la sono fatta” e hanno girato un video mentre se la scambiavano e facevano commenti. Sembrava che le piacesse perché gemeva e questo era un buon segno. Poi hanno continuato la festa mentre lei si rivestiva da sola su quel portone. In quel momento si sentiva era un vero uomo e ha deciso di inviare il video ai suoi amici: “Che fottuta figata di viaggio” “Che l’invidia”! “Questo sì che è un vero viaggio.”

Giorni dopo l’uomo viene fermato e lo accusano di stupro. Lo arrestano e dovrà rispondere a molte domande davanti ad un giudice. I giornali scrivono molti articoli, la gente è scioccata, vengono organizzate delle manifestazioni. L’uomo non capisce niente e dice che non è uno stupratore, ma una persona normale. Si agita sulla sedia, piange ed esita. Voleva solo divertirsi. Sostiene che è un’ingiustizia e che lui è una vittima. Non capisce cosa ci fa lì e come possa esserci finito .

Nel frattempo fuori dal carcere, tutto trascorre alla normalità. Le donne continuano ad essere offerte sui giornali, sui cartelloni pubblicitari, nei bar e nelle discoteche. Gli adolescenti continuano ad accedere a contenuti sessuali violenti. I riferimenti maschili restano sempre aggressivi e dominanti. Insomma.. tutto normale.”

Normale. Quanto mi spaventa a volte questa parola. Normale. No, non può essere normale tutto questo. Perchè noi non vogliamo più che sia normale parlare di mostri.

2 commenti

  1. In questi giorni ho visitato il memoriale di Dachau.
    I mostri di quel posto ci sono tutti. Li senti, li vivi, li ascolti !
    Insieme a tante urla di pietà.
    E’ difficile capire, anzi, impossibile sapere cosa c’è dentro di noi !
    Questi mostri, questi orrori, fanno parte di una storia dell’uomo che proprio non voglio nemmeno ascoltare.

    Dachau, come altri posti simili, dovrebbero essere meta continua di riflessione per tutti !

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    • Sono stata anni fa anche io a visitare Dachau. Esattamente 16 anni fa, eppure mi ricordo quel giorno come se fosse ieri.
      Alcune cose, specialmente le brutture umane, difficilmente si scordano.
      Toccano qualcosa dentro, o almeno a me succede, perché immaginare che sono essere umani a compiere questi gesti (si potranno chiamare così?) mi lascia… non saprei nemmeno definire esattamente come. Tristezza, amarezza, paura, freddo.

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