Ho distolto lo sguardo da te solo per un momento, un veloce, fulmineo istante e i tuoi occhi erano scomparsi. Mi guardo in giro furiosamente, con un senso di ansia crescente. Prima da una parte, poi dall’altra e ancora e ancora. Incrocio mille sguardi, ma nessuno è il tuo. Sento la morsa della paura che si annida nel mio petto, facendomi mancare l’aria. Ed ora cosa faccio? Paura, disperazione, vuoto, solitudine.
Mi faccio forza e comincio a camminare, prima un passo, poi l’altro, poi ancora uno e un altro ancora. Sbadatamente osservo i movimenti attorno a me, le persone, le costruzioni, le strade. Non so nemmeno esattamente dove mi trovo.
Ricordo solo di aver chiuso gli occhi un istante e mi sono ritrovata catapultata in questa strana città, che sembrava fatta di montagne, di mare, di colline, di antichità.
Ciò che vedo cattura il mio interesse. Palazzi antichi, vecchi ponti levatoi su fiumi di un colore dell’oro e ora prati, grandi prati verdi e ora casette di legno, ai balconi dei vasi di gerani rossi che si muovono al vento, come stessero ballando un lento valzer.
Il vento comincia a soffiare con più insistenza, portando con sé domande e risposte a domande di cui non ho più memoria.
Proseguo e mi ritrovo di nuovo in quello che dovrebbe essere il centro della città, con le sue viuzze di ciottoli ormai logori da tutti i piedi che li hanno calpestati nel tempo e con gli alti ed eleganti palazzi che danno riparo dai raggi del sole che prepotentemente cercano di farsi spazio. Non saprei dire con esattezza per quanto tempo ho camminato. Ma di un punto in bianco la via finisce e un orizzonte piatto, come se qualcuno avesse tirato il confine tra cielo e mare con una riga, fa capolino. Vado verso la spiaggia. La sabbia viene trasportata dal vento, che ora ha perso la sua intensità, le onde si infrangono a riva, lente, una dopo l’altra, come una vecchia nenia. Un padre è intento ad insegnare ai suoi figli a nuotare, ma perdono subito la concentrazione e tornano a spruzzarsi l’acqua addosso, ridendo e urlando felici. Quella che sembra la mamma se ne sta seduta in disparte a leggere un libro, ogni tanto alza lo sguardo per controllare che sia tutto sotto controllo, fa un sorriso in direzione dei bambini e torna ad immergersi nella lettura.
Resto così per qualche minuto, ad osservare questa famiglia. I loro movimenti, i loro sguardi, hanno qualcosa che incanta, un non so che di rilassante. Forse sanno di casa, di amore, di gioia, di condivisione. Ma mentre un gabbiano si avvicina a riva ricordo perché sono lì, da sola, su quella spiaggia.
Mi alzo di scatto e comincio a correre. Torno da dove sono venuta ma questa volta cambio direzione all’ultimo. Corro, corro veloce, con tutte le mie forze. Arrivo esausta in quella che sembra essere la periferia, fatta di palazzi cuboidali, grigi, con la calce che si stacca dalle facciate, le finestre sgangherate, un odore di cibo scadente lasciato marcire nei sacchetti di plastica per giorni sotto il sole cocente.
Vado a sbattere contro una signora anziana, che mi lancia uno sguardo curioso. Probabilmente si starà chiedendo cosa ci faccio lì e cosa sto cercando così disperatamente. Mi scruta per qualche secondo e mi indica una stradina in mezzo a dei campi secchi e spogli dove brucano delle pecore talmente magre che si possono contare le ossa dello scheletro. Non so perché decido di seguire le sue indicazioni. Non sa nemmeno cosa sto cercando e perché e dove e chi. Ma qualcosa nel suo sguardo mi fa capire che sapeva, sapeva molto di più di quanto sapevo io in quel momento.
Prendo la direzione indicata dalla vecchia e percorro il sentiero veloce, talmente veloce che finisco il tratto di strada ed ho il fiatone. Arrivo a quello che deve essere il porto. Grandi navi di legno con le vele spiegate, galeoni con a bordo marinai impettiti nelle loro uniformi e le scimmiette appese agli alberi maestri, mozzi che spazzolano la prua di navi mercantili pronte a salpare da un momento all’altro.
Seguo la lunghezza del canale, facendomi spazio tra la folla brulicante. Ad un tratto mi fermo. Sento un brivido corrermi lungo la schiena e mi volto. E tra la miriade di persone, riconosco i suoi occhi che scrutano l’orizzonte cercando i miei.
E proprio allora… mi sveglio!
Sento il tuo respiro lento accanto a me, quel respiro dolce di chi sta sognando solo cose belle. Apri gli occhi, sorridi e mi guardi, mentre con un braccio mi tiri accanto a te.
E non posso far altro che pensare che sì, sono proprio loro gli occhi che non smetterei mai di cercare.