Scusa, che tempo fa?

Questa mattina, come da abitudine, ho fatto tappa al bar per bere il mio solito espresso. Due ragazzi seduti al bancone discutevano con una certa enfasi sul tempo. Il dialogo è stato più o meno questo: “Meno male, dopo tutta questa acqua finalmente un po’ di sole” dice lui. Lei gli risponde sulla stessa riga “Hai proprio ragione. Non se ne poteva davvero più di questa pioggia.” Lui continua: “Più che primavera, sembra un autunno ben inoltrato” e lei “Guarda, io ormai non so nemmeno più come vestirmi. Caldo. Freddo. Caldo. Freddo.” Si guardano e quasi all’unisono esclamano “Proprio vero, le stagioni non esistono più!” Cala il silenzio, un attimo di imbarazzo e poi ognuno è tornato al proprio cappuccino e al proprio giornale.

Ho pagato il mio espresso e sono andata al lavoro. Effettivamente non avevano tutti i torti, vedere il sole splendere già di primo mattino dava tutta un’altra prospettiva alla giornata. Soprattutto poi se il giorno in questione è venerdì. Ma questa è un’altra storia.

Arrivata al lavoro aspetto i clienti con cui avevo appuntamento. Entrano, prendono posto, offro loro un caffè e per sciogliere il ghiaccio uno dei due mi dice: “Bella giornata oggi, vero? Dopo l’acqua di questi giorni ci voleva proprio un bel sole.” L’ho guardato e ho sorriso. Questa conversazione mi sapeva di “già sentita”. Gentilmente ho replicato con uno sbrigativo “Eh già”, sperando di chiudere in fretta la questione meteo. Ma lui rincara la dose: “Ho piantato dell’insalata proprio l’altro giorno ma con questo tempo chissà se crescerà qualcosa.” Ero poco colpita, sia sul discorso meteorologia sia sulle sue qualità di agricoltore, ma trattandosi di un potenziale cliente mi sono dovuta trattenere e anche in questo caso ho risposto con un semplice “Sono sicura che la sua insalata crescerà. In fondo la natura fa sempre il suo corso”.

Finisco di preparare le ultime cose necessarie per far partire la presentazione e in quel momento di silenzio vedo i due uomini seduti al tavolo un po’ in imbarazzo, che si guardano in giro, probabilmente cercando nella loro testa un qualsiasi appiglio per iniziare una conversazione.

Proprio in quel momento mi ricordo di una citazione sentita nel film “Il favoloso mondo di Amélie”:

L’angoscia del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa.

Ci avete mai fatto caso? Il silenzio fa paura.

Abbiamo quella convinzione che se due persone –indipendentemente se si conoscono o meno e se sono uscite insieme oppure no- condividono lo stesso spazio, che sia il tavolino di un bar, che sia una panchina in un parco, che sia lo spazio sull’autobus, queste debbano parlare per forza.

Provate a stare seduti ad un tavolo con qualcuno e non parlare. La persona dall’altra parte inizierà ad innervosirsi. Si guarderà in giro, comincerà a giocare con il cucchiaino, toccherà più volte il bicchiere o si butterà a capofitto nella lettura di un qualsiasi giornale, anche il bollettino degli indici di borsa Dow Jones se necessario. Tutto pur di evitare un momento, corto o lungo che sia, in un imbarazzante silenzio.

Poco importa se per mettere fine a questo imbarazzo si finisce quasi sempre a parlare del tempo che fa o di qualsiasi altro frivolo bla, bla, bla –perdonatemi la rima. L’importante è avere qualcosa che serva ad occupare questo rimbombante, spaventoso, orripilante silenzio.

Si sa, spesso il silenzio è più rumoroso del rumore vero e proprio. Forse è proprio per questo che fa paura. Perché il rumore che sentiamo stando zitti non siamo altro che noi stessi che ci parliamo. Sentiamo quello che noi abbiamo dentro, quello che noi vorremmo urlare, quello che noi vorremmo fare, quello che noi vorremmo cambiare. Sentiamo la nostra verità. E ci spaventiamo. Ci vuole coraggio nel volere ascoltare CHI noi siamo. COSA noi siamo. Cosa NOI VOGLIAMO.

E ci perdiamo quindi così, spesso in inutili chiacchiere. L’importante è non sentire, non ascoltare.

Guardo fuori dalla finestra… ed è spuntato il sole.

 

12 commenti

  1. Andare oltre il Silenzio, trovare una sintonia con l’altro senza cadere nelle banalità, non è affatto semplice ma si può fare. Anch’io ho provato le sensazioni che descrivi ma, forse con lo sguardo, con il sorriso o con l’aria preoccupata, ho dato spunto ad una riflessione nell’altro. … E non c’è stata nessuna parola di troppo. Penso che, riempire i silenzi che si creano, sia un problema di imbarazzante vuoto mentale. In fondo non servono molte parole per iniziare un dialogo sensato.

    Col tempo ho imparato ad ascoltare il Silenzio, quello degli altri, e mi racconta più di ogni sterile chiacchiera. In fondo siamo tutti alla ricerca di una comunicazione. Trovarla, qualche volta, richiede impegno e fatica.

    Ciao.

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