Nat si ridestò dai ricordi. Sentiva un senso di rabbia quando pensava a quel caso a cui si aggiungeva un senso di impotenza quando pensava agli altri otto, tutti rimasti senza una spiegazione e senza un colpevole.
Dopo tre anni dal caso di Grovenhill, Nat si era finalmente ripreso. Pensava di essersi lasciato alle spalle tutto, soprattutto i dolorosi ricordi. Ma un giorno, mentre era di pattuglia con Orson, furono richiamati in centrale. Una telefonata urgente per Nat. Era McKanzie. “Nat” , esordì subito l’uomo, “Mi dispiace disturbarti, ma dovresti venire a Washington. C’è un caso che forse ti interesserebbe seguire”. Nat capì al volo, non c’erano bisogno di altre spiegazioni. Prese il primo aereo e si recò sul posto. Durante la sua lunga carriera ricevette altre sette chiamate dopo il caso di Washington. Tutti gli omicidi erano uguali. Stesso modus operandi, stessa impossibilità di determinare ora e causa della morte, stesse caratteristiche sui corpi. Tutti sembravano gusci vuoti, senza espressione, senza emozioni, senza….
Riportò la concentrazione sui fascicoli che aveva davanti a sé. Andò avanti così per tutta la notte, leggendo, prendendo appunti, cercando di trovare un dettaglio, anche se insignificante, che desse una chiave di lettura a quegli intricati casi. Ma nulla. Mai un testimone. Mai un’impronta. Mai un indizio. Mai una prova.
Guardò la bottiglia, che era ormai vuota, e si ritrovò a sorridere. Proprio in quel momento gli vennero in mente le parole che gli disse una volta una veggente incontrata vicino al luogo del quarto omicidio “Vicino, molto vicino. La risposta è vicino a te. Due occhi tu pensi che siano, ma se guardi a fondo quattro ne troverai. Ricorda, non è solo il cuore che da vita”. Chissà cosa avrà mai voluto dire con quelle strane parole. Ma Nat era un uomo troppo pragmatico per farsi influenzare da inutili e stupide dicerie.
Passarono i giorni. Emily, James e Lauren vennero interrogati più e più volte, ma non ricordarono nessun particolare oltre quanto dichiarato la prima volta. Nessuno sembrava averli incrociati durante il loro arrivo. Nessuno era stato visto aggirarsi a Old Pinewood. Insomma, un altro buco nell’acqua. Nat era furioso! James e Lauren insistettero molto per poter lasciare la cittadina. Volevano ritornare al più presto a casa loro, lontano da quel posto e lontano da quella tragedia. Ma Nat, sospettoso, non aveva la benché minima intenzione di lasciarli andare. Non voleva rischiare di perdere due testimoni, anche se erano di poco aiuto.
In lui continuava ad aleggiare una sensazione che non lo lasciava dormire. C’era qualcosa, lo sapeva che c’era. La risposta era lì a portata di mano, ma lui non riusciva a vederla. Stava impazzendo.
Nat era inquieto. Camminava avanti e indietro nel salotto di casa sua. Negli ultimi giorni era ossessionato dal ricordo di suo fratello Francis e del nipotino. Salì in soffitta a recuperare i vecchi album di famiglia. Li ritrovò dentro uno scatolone. Nat e Francis nella loro vecchia casa a Grovenhill. Nat con Steven il giorno della sua nascita. Nat con Helena. Vedeva la vita di un tempo scorrergli davanti agli occhi fino a quando lanciò un urlo! Strappò una foto dall’album, corse di sotto, mise gli scarponi e l’impermeabile e uscì come un fulmine. Arrivò davanti all’albergo dove alloggiavano i ragazzi mentre le indagini erano in corso. Fece le scale due a due e bussò alla porta della camera no. 27. Nessuna risposta. Bussò ancora. Silenzio.
Nat prese la rincorsa e con una spallata buttò giù la porta, che cadde senza troppi sforzi e con un gran tonfo. La stanza era vuota. L’uomo si guardò in giro affannosamente cercando ovunque. Nel bagno, sotto il letto, guardò perfino nell’armadio e dietro le tende. Ma di Emily nessuna traccia.
Poi la vide. Al centro del tavolo vi era una piccola busta bianca che riportava il suo nome “Nat”.
Nat l’aprì, con le mani tremanti.
Caro Nat,
sei sempre stato un uomo intelligente. Sapevo che prima o poi avresti capito. Immagino che ben comprenderai che ho dovuto lasciare la città.
Ti starai chiedendo come sia possibile che trentadue anni dopo io abbia lo stesso aspetto di quando ero sposata con tuo fratello Francis. Devi sapere che già allora io avevo 198 anni.
Voglio assicurarti che amavo davvero Francis. Lui era un uomo diverso da tutti gli altri, era buono, generoso, con un sorriso che scaldava il cuore. Non avrei mai voluto andasse a finire così, ma ho dovuto fare una scelta, anche se dolorosa. La sua vita, o meglio, la loro vita o la mia vita.
Avevo pensato molte volte di lasciarlo vivere e sacrificare me stessa, ma il destino ha scelto per me e io non ho avuto alternative. Continuare con la mia vita significava prendermi tutti i ricordi di Francis. È così che io sopravvivo nel tempo. Prelevo i ricordi dagli uomini, a patto che siano davvero innamorati di me, in caso contrario io sarei destinata a sparire poco per volta, invecchiando 10 volte più velocemente di voi umani. Tutti diamo per scontato che il cuore che batte nel nostro petto sia sufficiente a garantirci la vita, ma credimi, sono i ricordi che ci rendono davvero umani. Ed è di questa umanità che io mi nutro ed è grazie ad essa che riesco a mantenere il mio aspetto nel corso degli anni.
Ti chiederai perché ti stia raccontando tutto questo e onestamente non lo so nemmeno io. Forse perché è arrivato il momento che tu abbia delle risposte.
Il giorno prima del ritrovamento ho convinto Francis a portarci a fare una gita in barca, così da passare una giornata tutti insieme. Sai quanto lui adorava quelle quei momenti. Siamo usciti al largo e appena si è presentato il momento propizio, gli ho messo del veleno nell’acqua. Per poter fare quello che devo fare, è importante che i corpi e soprattutto la mente siano svegli, vigili e che gli occhi siano ben aperti. Con questo veleno tolgo loro solo la capacità motoria. E poi, faccio ricordare. E Più loro ricordano e più io mi nutro.
Chissà poi perché quando la gente sa che sta per morire, non smetterebbe mai di ricordare. Mi sono sempre chiesta se fosse un modo per ritardare l’inevitabile o solamente un modo per avere la sensazione di lasciare una loro traccia prima di lasciare questo mondo.
Fatto questo, ho riportato la barca al molo e me ne sono tornata a casa, aspettando che qualcuno ritrovasse i corpi. Devo ammettere che non pensavo sarebbe successo così in fretta.
Ti starai chiedendo perché Steven. Perché un bambino. Per spiegarti questo, ti allego una fotografia scattata 30 anni fa. Con essa capirai tante cose.
Spero che ora tu possa trovare la pace che meriti e spero che tu possa un giorno perdonarmi.
Con affetto,
Helena
Nat guardò nella busta e vide una vecchia foto sbiadita. Sullo sfondo la cittadina di Grovenhill e nel centro vide Emily –a quel tempo conosciuta come Helena- e una bambina che avrà avuto sì e no un anno. Guardò meglio la fotografia e osservò meglio la bambina. E ad un tratto fu tutto più chiaro. Non era una bambina qualsiasi, quella era sua nipote! Era la copia esatta di suo fratello Francis.
Nat allora capì. Ecco perché un bambino. Per dare la vita alla sua bambina, doveva sacrificare i ricordi di un altro bambino! Nat sentì la terra mancargli sotto i piedi e si accasciò sul letto. Aveva sempre pensato che conoscere la verità gli avrebbe dato finalmente la pace che stava cercando, ma si rese conto che vacillava. Non sapeva se era dovuto alla rabbia che provava in quel momento o allo shock delle informazioni appena ricevute. Fece dei profondi respiri e si alzò dal letto con uno scatto. Ora sapeva cosa doveva fare. Nat si mise in tasca la lettera di Helena e la fotografia. “Vi troverò, dovesse essere l’ultima cosa che farò nella mia vita, io vi troverò” promise a se stesso mentre usciva dalla stanza no. 27.
Ma è meraviglioso questo pezzo…. sonon stata travolta da una piacevole suspance soprattutto scatenata dalla lettera… che non mi rendevo conto che ero entrata in versione protagonistica nel tuo scritto. Complimenti
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grazie!!! 🙂
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