Come tutte le mattine, Jenna era seduta su una panchina ed osservava il mare. Lo faceva ogni giorno e non le importava se era una di quelle giornate con l’aria gelida, di quelle che taglia la faccia o se era una di quelle giornate di sole, di quello che ti scalda la pelle e ti senti bruciare. Il richiamo del mare era troppo forte per lei. Se ne stava così per ore, ad osservare il movimento dell’acqua, l’impronta che essa lasciava sulla sabbia, il dondolio delle barche attraccate al porticciolo come fossero delle grandi culle mosse da una mano invisibile.
Ascoltava rapita il rumore che queste onde provocavano. Il boato fragoroso quando si scontravano contro gli scogli nelle giornate di burrasca, la dolce cantilena delle giornate senza vento, i suoni emessi dai gabbiani mentre sfioravano le increspature dell’acqua per catturare la preda.
Il mare le metteva sempre una calma interiore, come se i rumori da cui si lasciava trasportare placassero per un momento le urla che sentiva provenire da dentro. Rimbombavano nella sua testa e nel suo petto con una tale forza che spesso restava senza fiato, spossata e l’unica cosa che avrebbe desiderato era potersi addormentare e non svegliarsi mai più.
Molte volte, osservando gli spazi sconfinati davanti a lei, aveva pensato di lasciarsi andare e farsi cullare dal mare. Chissà dove l’avrebbe portata la marea? In un posto decisamente più felice, dove avrebbe finalmente potuto sentirsi libera, di questo ne era certa. Ma le era sempre mancato il coraggio. Non perché avesse paura di morire, quello no. Pensandoci bene la spaventava di più l’idea di continuare a vivere. La sua paura più grande era quella di soffrire, anche nel momento di lasciare questo mondo che le stava stretto. E non voleva di certo finire i suoi giorni nella sofferenza. Di quella conosceva fin troppo bene ogni sua sfaccettatura, ogni suo rumore, ogni sua peculiarità. Alcuni giorni ne sentiva addirittura l’odore.
E così passava ore intere in riva al mare, aspettando che il dolore si attenuasse e le desse un momento di tregua. Quella mattina però Jenna vide qualcosa tra le onde. Non riusciva a capire bene cosa fosse. All’inizio pensò ad un pezzo di legno trasportato dalle correnti, ma si spostava troppo velocemente. Poi pensò ad un pesce, ma non li aveva mai visti emergere così tanto dall’acqua. La curiosità prese il sopravvento e decise di avvicinarsi. Non fece in tempo a raggiungere la riva che non vi era più nulla. “Mi sarò sbagliata” pensò tra sé e sé. Rimase però immobile ancora un attimo, con lo sguardo inchiodato nel punto dove le era sembrato di scorgere quel qualcosa che non aveva saputo identificare. Niente. Fu proprio allora che una brezza leggera cominciò ad alzarsi, portando con sé quella che sembrava una melodia. Jenna fu completamente rapita da quel suono. Rimase in balia di quella brezza canterina per un tempo indecifrabile e, quando di punto in bianco il vento cessò, si accorse che stava fischiettando ripetendo le note di quella improbabile canzone.
Per la prima volta da molto, moltissimo tempo, si sentì pervadere da un senso di gioia che la lasciò senza fiato. Ormai si era quasi dimenticata l’effetto che provocava quella sensazione. Beatitudine. Calma. Pace. Per tutta la giornata nessun pensiero triste, nessuna amarezza, nessun dolore, nessun rimpianto la raggiunse. Era lei e la sua melodia.
Il giorno dopo tornò in spiaggia, e quello dopo e il successivo. Si sedeva esattamente nello stesso punto dove la brezza l’aveva raggiunta la prima volta portandole quel regalo meraviglioso e restava in attesa. La melodia non tardava molto ad arrivare e lei restava così, cullata tra le sue braccia.
Un giorno però successe quello di cui aveva terrore. Aspettò e aspettò e aspettò, ma della brezza nemmeno l’ombra e senza di essa non arrivò nemmeno la fonte della sua gioia. Si sentì perduta. Ed eccolo di nuovo quel dolore infinito, quel velo di tristezza che le copriva il cuore, quel senso di vuoto e abbandono. Si alzò, fece per allontanarsi dalla spiaggia e fu allora che la vide di nuovo. La “cosa” era lì, esattamente davanti a lei, tra le onde del mare. Era una massa di capelli rossi. Jenna si avvicinò, ma la “cosa” indietreggiò. Jenna fece allora un passo indietro e la creatura avanzò verso di lei. A chi le osservava da lontano, sembravano una creatura della terra e una creatura del mare intente in una strana danza. Ognuna rispettava lo spazio dell’altra e si muovevano con una tale sintonia che sembravano un’unica entità. La creatura di colpo si fermò e poco alla volta indietreggiò, fino a quando Jenna non riuscì più a distinguerla. E fu allora che prese una decisione. La sua decisione.
Un passo alla volta entrò in acqua. Prima esitante, poi via via che l’acqua le copriva dapprima le caviglie, poi le ginocchia, prese maggiore sicurezza. Dentro di sé non sentiva nessuna paura, nessun dolore, nessuna tristezza. Solo una grande gioia invaderle il cuore; ed iniziò a fischiettare la melodia che nelle ultime settimane aveva imparato ad amare.
Lo sapeva, ora era pronta. Era arrivato il momento di buttarsi completamente nelle braccia del mare e lasciarsi trasportare ovunque lui avesse voluto. Si addormentò così, immaginando acque cristalline, cieli azzurri, cuori traboccanti di amore e canzoni fischiettate da creature dai capelli rossi.
Jenna riaprì gli occhi. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato e soprattutto non aveva idea di dove si trovasse. Si guardò in giro, timorosa di aver sognato tutto. Ma con suo grande sollievo era tutto reale.
Attorno a lei un gruppo di sirene la stava osservando. Quando lei sorrise loro, le creature del mare le fecero un grande sorriso ed iniziarono ad intonare un canto. I loro capelli rossi come il fuoco ondeggiavano ad ogni nota, le loro code di un verde brillante risplendevano con la luce del sole creando l’effetto di mille piccoli cristalli. Jenna si guardò dapprima i capelli, poi le gambe.
Non era rimasto più nulla della vecchia lei. Anche tutto il dolore, tutte le sofferenze, tutte le tristezze, tutte le paure erano sparite. Avevano lasciato il posto ad una splendida sirena.
Ora Jenna lo sapeva. Ogni creatura ha il suo posto nel mondo, dove una canzone che è stata scritta per lei è solo in attesa di essere trovata.
Mi è venuta in mente una citazione di Murakami (lui parlava della corsa ma trovo che vada benissimo per la vita di tutti i giorni): il dolore è inevitabile, la sofferenza è opzionale. Il dolore è quel qualcosa che ti arriva addosso quando meno te l’aspetti e dal quale, per quanto uno voglia, non si può fuggire. La sofferenza? Con tanta pazienza e impegno possiamo gentilmente allontanarla da noi e scegliere ogni giorno la vita e lo stare sereni.
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Ottimo lavoro!
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grazie mille! 🙂
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Dai un’occhiata al mio blog e dimmi che ne pensi.
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Tanta positività nel radioso finale di questo piacevole brano
Felice sera e un saluto,silvia
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grazie mille! 🙂
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gran bella lettura, mi ci sono perso dentro! Grazie
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grazie a te per il bel commento!
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Un finale rassicurante è pieno di prospettive positive.
Grazie della tua attenzione non è un momento facile per me ma cercherò di aggiornarmi sui tuoi scritti.
Sherabientot
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